Sean Connery è morto nel sonno a 90 anni
L’attore, il primo comico ad aver interpretato James Bond al cinema, è morto all’età di 90 anni alle Bahamas, nel sonno.
Sean Connery è morto. L’attore britannico, il primo comico ad aver interpretato James Bond al cinema, è morto all’età di 90 anni, lo ha detto la sua famiglia al sito della BBC. L’attore ha avuto una lunga carriera coronata da numerosi premi tra cui un Oscar, due Bafta e tre Golden Globe. È morto nel sonno alle Bahamas.
Famiglia e Scozia
Prima di sorseggiare Vodka Martini nei bar dei casinò più sontuosi e conquistare le donne più belle nei panni di 007, Sean Connery cercò dapprima di fuggire dalla sua condizione, particolarmente modesta.
“Nato nell’estrema povertà dei sobborghi di Edimburgo, il suo sogno unico e principale è quello di fuggire. È la povertà che ha portato Sean Connery alla luce“, ha detto uno dei suoi biografi, Michael Feeney Callan.
Ha lasciato presto la scuola ed è entrato in Marina a 16 anni. L’esperienza si conclude sui moli di Portsmouth, dove perfeziona i suoi hobby preferiti: il calcio (è dotato al punto che gli viene offerto un contratto dal Manchester United), la boxe e le ragazze. È di questo periodo che risalgono i suoi due tatuaggi: “Mamma e papà” e “Scozia per sempre” sull’avambraccio destro. Famiglia e Scozia, le due priorità della sua vita.
Lucidatore di bare
Tornato alla vita civile dopo tre anni da un’ulcera, ha continuato a svolgere lavori occasionali: bagnino, muratore, camionista ma anche caricatore di carbone, guardia del corpo e lucidatore di bare. “Per accontentare le ragazze“, è entrato nel bodybuilding ed è arrivato terzo al concorso Mister Universo 1950.
Il suo metro e 88 e il suo fascino sono diventati il suo passaporto per la gloria. Aveva 27 anni quando, avvistato in un film TV per la BBC, firmò con la 20th Century Fox. In risposta alla domanda di fare un test per l’adattamento di un romanzo di spionaggio, ha rifiutato apertamente. “Mi prendi per quello che sono o non mi prendi“. Il bluff è stato ripagato e il ruolo di 007 in Dr No nel 1962 gli è stato assegnato per $16.000. In seguito ad un grande successo, interpreterà sei volte l’agente segreto che farà fantasticare orde di ragazzine e far sognare i ragazzi.
“È impossibile essere un bambino degli anni Sessanta senza rimpiangere una volta o l’altra di non essere Sean Connery“, scrive Christopher Bray.
“L’uomo più sexy del mondo” a 60 anni
Promosso star internazionale, Sean Connery è quindi andato in tour con i migliori, mantenendo sempre il suo accento scozzese. Ha vinto un Oscar con Gli intoccabili e ha interpretato sempre più ruoli, come in Highlander, Il nome della rosa o Indiana Jones e l’ultima crociata.
Il tutto diventando negli anni “più attraente che mai“, come sottolinea lo specialista di cinema Christian Dureau. Nel 1989, la rivista People lo definì “l’uomo più sexy del mondo“, poiché compiva felicemente 60 anni. La sua popolarità non verrà mai negata: nel 2013, è stato votato come britannico preferito dagli americani, dieci anni dopo il suo “ritiro” – dopo ben 64 film.
Conosciuto dalla regina nel 2000
La sua lotta per l’autonomia della sua nativa Scozia ha sollevato alcune polemiche. Avrebbe anche ritardato fino al luglio 2000 la sua nobilitazione da parte della regina Elisabetta II . “In esilio” in Spagna o alle Bahamas (per motivi fiscali), ha vissuto negli ultimi anni a New York con la seconda moglie, la ritrattista francese Micheline Roquebrune, conosciuta sui green del golf e subito sposata, nel 1975.
“Dato che lei non parlava inglese e io non parlavo francese, c’erano poche possibilità che saremmo sprofondati in discussioni noiose. Ecco perché ci siamo sposati così in fretta“, ha scherzato Sean Connery, sposato per la prima volta con un’attrice australiana, Diane Cilento, dalla quale ha avuto un figlio, Jason, nato nel 1963.
Annunciato morto nel 1993 dalle agenzie di stampa australiane e giapponesi, ha finito per rinunciare alle armi sabato all’età di 90 anni. Perché è vero: “Viviamo solo due volte“.

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Cronaca
Consegnati i premi ‘Mario Sarzanini’, riconoscimento alla carriera per Rino...

Nell’Aula Magna dell’Università Guglielmo Marconi di Roma si è svolta la cerimonia di consegna dei premi della quarta edizione del Premio Giornalistico Mario Sarzanini, dedicato alla memoria dello storico giornalista di cronaca giudiziaria di Roma, scomparso nel 2021. Sarzanini collaborò con Adnkronos tra il 2016 e il 2017.
Tra i presenti in sala, i figli del giornalista: Fiorenza, vicedirettore del Corriere della Sera, ed Enrico e Roberta, anch’essi giornalisti. Davide Desario, direttore di Adnkronos e membro della giuria del premio, ha ricordato Mario Sarzanini con queste parole: “Mario rappresentava tutto ciò che manca a un’intelligenza artificiale: la serietà, la scrupolosità nel verificare le fonti e il rispetto per esse. L’intelligenza artificiale può compilare, ma non scoprire notizie. Questo premio celebra una persona che ha incarnato valori importanti e che ha cresciuto tre figli eccezionali. È fondamentale tramandare questi principi.”
Il premio per la categoria Tv è stato assegnato a Vittorio Brumotti, inviato di Striscia la notizia, il quale ha ricevuto il riconoscimento da Don Antonio Coluccia. Brumotti ha dichiarato: “Io porto denunce in tutta Italia e oltre. Qualcuno diceva che bisogna consumare scarpe e penne; io consumo le gomme della bicicletta, ma sempre con il sorriso. Faccio parte di un programma satirico e credo che prendersi troppo sul serio non sia corretto. Non immagino una Sparta, ma un’Atene dove le persone possano essere reintegrate. Con Don Antonio abbiamo realizzato bellissime iniziative nei rioni difficili, mescolando sport e satira: lui con il pallone, io con la bicicletta. A volte le cose non andavano lisce, ho ricevuto pietre e elettrodomestici sul tetto della macchina. Questo sono io, un ragazzo semplice, figlio di un carabiniere degli anni di piombo, impegnato a combattere le ingiustizie per riprenderci il territorio.”
Per la categoria Uffici stampa, il premio è andato ad Agostino Vitolo, capo dell’ufficio stampa del comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Roma. Vitolo ha sottolineato: “Da quando sono a capo dell’ufficio stampa dei Carabinieri, ho avuto la fortuna di conoscere tanti giornalisti, tra cui Mario Sarzanini. Ricordo che mi chiese di ricevere i comunicati stampa e, ancora oggi, inviamo i comunicati alla sua e-mail personale.”
Tra i premiati nelle altre categorie spiccano Mia Ceran per il podcast ‘The Essential’ nella sezione Web e Podcast, Marco Maffettone (Ansa) per le Agenzie e Giusi Legrenzi (Rtl 102.5) per la Radio. Il Premio alla carriera è stato assegnato a Rino Barillari, noto come il ‘King dei paparazzi’, che ha affermato: “Sarebbe meraviglioso tornare indietro e rifare tutto ciò che ho fatto. Dobbiamo tornare a scattare foto con la testa, non solo per il semplice scatto.”
Il Premio speciale di questa edizione è stato conferito al film ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’, che narra la storia vera di Andrea Spezzacatena, un quindicenne che nel 2012 si tolse la vita a causa del bullismo e cyberbullismo. A ritirare il premio sono stati la madre Teresa Manes e il produttore Roberto Proia.
A moderare la premiazione è stata Filomena Leone, che ha condiviso il palco con la giuria presieduta da Andrea Balzanetti e composta da Andrea Cappelli, Luigi Contu, Emma D’Aquino, Guido D’Ubaldo, Massimo Martinelli, Flavio Natalia, Andrea Pucci e Davide Desario.
Cronaca
Ferrucci dalle teste di Modì alla ricerca: “Le misi nel curriculum. Che risate con...

Non ha mai rinnegato il proprio passato, nemmeno dopo aver indossato il camice da medico. Pier Francesco Ferrucci, oggi noto oncoimmunologo, ricorda con serenità di essere stato uno degli artefici della celebre “beffa del secolo” avvenuta 41 anni fa. Quell’episodio, che ruotava attorno alle famose “false teste di Modì”, non ha mai intaccato la sua professionalità, né la sua dedizione verso il lavoro. “Fin dall’inizio, ho inserito quello scherzo persino nel mio curriculum”, racconta Ferrucci, sottolineando come quell’esperienza sia stata parte integrante della sua vita.
Ferrucci, noto per essere stato uno dei protagonisti della più grande “fake news” nella storia dell’arte, oggi è a capo del Comitato Scientifico della Fondazione Grazia Focacci. La fondazione, che si occupa di ricerca oncologica e supporto ai pazienti, ha organizzato una serata speciale il 1° aprile allo Sporting Club di Monza, un evento dedicato alla prevenzione e alla raccolta fondi. L’iniziativa, intitolata “La beffa del secolo. Le teste di Modì tra scienza e Charity”, unisce il ricordo dello storico scherzo alle tematiche della salute e della ricerca.
Ricordando quel famoso episodio, Ferrucci spiega: “Quello scherzo è parte di me. Con il tempo ho capito che poteva essere utilizzato per creare connessioni tra persone con interessi diversi e convogliarle verso obiettivi più nobili, come la lotta contro il cancro e la promozione di terapie innovative”. Persino Umberto Veronesi, celebre oncologo, scherzò su quella vicenda quando Ferrucci iniziò a lavorare presso l’Istituto Europeo di Oncologia. “Era un mito”, ricorda Ferrucci, rievocando con ironia gli aneddoti legati a quell’esperienza.
L’idea delle “false teste di Modigliani” nacque nell’estate del 1984 a Livorno, città natale di Ferrucci. In quel periodo, si parlava della leggenda secondo cui l’artista avrebbe gettato alcune delle sue sculture in un canale della città. Ferrucci, allora giovane studente universitario, insieme ai suoi amici decise di creare delle teste che somigliassero alle opere di Modigliani. “Mai avremmo immaginato che la nostra creazione sarebbe stata scambiata per autentica”, spiega, sottolineando l’impatto inaspettato che ebbe lo scherzo.
In poco tempo, la vicenda si trasformò in un caso mediatico. “Pensavamo di finire sui giornali per un giorno, invece siamo arrivati alla Rai in uno speciale visto da 14 milioni di spettatori”, ricorda Ferrucci. La notorietà legata a quell’episodio gli costò un anno e mezzo di università, ma gli permise anche di partecipare a eventi artistici internazionali. “Poi sono tornato sui miei binari e mi sono concentrato sulla ricerca scientifica”, spiega.
Oggi, Ferrucci usa quel passato come occasione per connettersi con i suoi pazienti. “A volte è un modo per rompere il ghiaccio e creare una connessione. Non mi espongo direttamente, ma sono spesso loro a fare domande, soprattutto grazie ai social e al web”, afferma. Quell’esperienza gli ha insegnato l’importanza di essere sinceri e trasparenti, qualità che ritiene fondamentali per evitare strumentalizzazioni.
Ferrucci riconosce che la vicenda delle false teste ha avuto anche risvolti complessi, come il tentativo di sabotare la sua candidatura a un primariato a Firenze. Tuttavia, sottolinea: “Ho sempre cercato di utilizzare quell’impatto per finalizzare le mie competenze e offrire un servizio, soprattutto nella ricerca e nel supporto clinico.”
Parlando di ricerca oncologica, Ferrucci evidenzia la rivoluzione in corso grazie ai farmaci immunologici e ai trattamenti mirati. “Queste tecnologie sono estremamente utili, ma anche molto costose. È fondamentale informare la società e la politica per rendere queste cure più accessibili”, spiega. Ferrucci auspica la creazione di un hub di riferimento in Lombardia per ottimizzare risorse e garantire l’accesso alle nuove terapie.
La serata del 1° aprile, organizzata dalla Fondazione Grazia Focacci, sarà dedicata alla raccolta fondi per la ricerca oncologica. Fondata nel 2008, la fondazione ha già raccolto circa 400mila euro e promosso oltre 450 visite specialistiche. Ferrucci sarà affiancato da Michele Ghelarducci, uno degli autori dello scherzo del 1984, e dal comico Antonello Taurino, che ha dedicato una pièce teatrale alla vicenda. L’evento rappresenta un momento di sinergia tra arte, salute e solidarietà.
Secondo Federico Romani, presidente del Consiglio regionale, “l’iniziativa dimostra la capacità del territorio di fare sistema”. Martina Sassoli, consigliera regionale, sottolinea l’importanza della raccolta fondi per la ricerca, evidenziando come la scienza sia fondamentale per distinguere tra speranza e incertezza, tra possibilità e impossibilità di cura.
Cronaca
Omicidio Sharon Verzeni, Sangare in aula ritratta confessione: “Sono...

Moussa Sangare, un uomo di 31 anni attualmente sotto processo per l’omicidio di Sharon Verzeni, ha ritrattato la sua confessione fatta durante l’estate scorsa. Questo è avvenuto al termine della seconda udienza presso la corte d’Assise di Bergamo, convocata per affidare l’incarico di una perizia psichiatrica. Tale perizia dovrà valutare la sua capacità di intendere e di volere al momento dell’omicidio, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024, quando la 33enne Sharon Verzeni è stata accoltellata a morte per strada a Terno d’Isola.
Dopo la designazione dei consulenti di parte, Sangare ha preso la parola, proclamandosi innocente e spiegando le sue motivazioni in un intervento di circa dieci-quindici minuti. Lo ha riferito il suo avvocato difensore, Giacomo Maj.
La perizia psichiatrica, affidata alla dottoressa Giuseppina Paulillo, inizierà il primo aprile e dovrà essere completata entro quaranta giorni, salvo eventuali proroghe. I consulenti coinvolti comprendono il dottor Sergio Monchieri per la procura, Alessandro Calvo per la difesa e Massimo Biza per le parti civili. La prossima udienza del processo è fissata per il 22 settembre.
Nel frattempo, Sangare sarà nuovamente in tribunale tra meno di un mese per rispondere alle accuse di maltrattamenti nei confronti della madre e della sorella. La difesa ha richiesto anche in questo caso un rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica. L’udienza per l’assegnazione dell’incarico è stata programmata per il 9 aprile. Né la madre né la sorella si sono costituite parte civile.
I familiari di Sharon Verzeni, secondo quanto riportato dall’avvocato Luigi Scudieri, sono profondamente provati dalla situazione. Sono una famiglia unita che cerca di sostenersi a vicenda, ma il percorso giudiziario è stato particolarmente difficile per loro, soprattutto dopo che l’imputato ha ritrattato la confessione. L’avvocato Scudieri rappresenta sia la famiglia Verzeni sia il compagno della vittima, Sergio Ruocco, il quale era assente all’udienza dedicata alla perizia psichiatrica.
Moussa Sangare ha ritrattato le sue precedenti confessioni, rese in quattro diverse occasioni: ai carabinieri durante un interrogatorio a un mese dall’omicidio, in una dichiarazione spontanea, al pubblico ministero Emanuele Marchisio e durante un interrogatorio in carcere davanti alla giudice Raffaella Mascarino. Ora sostiene di essere stato spinto a confessare dai carabinieri e di non essere la persona ripresa dalle telecamere di sorveglianza a Terno d’Isola, indicando che indossava scarpe diverse rispetto a quelle dell’assassino.
Riguardo al coltello ritrovato sepolto vicino all’Adda, indicato da Sangare come arma del delitto, l’imputato ha affermato che si trovava lì perché quella era una zona in cui solitamente faceva barbecue. I carabinieri del RIS di Parma non hanno trovato tracce di sangue sul coltello, ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che è rimasto sotterrato in un’area umida per un mese.
In aula, Sangare ha fornito una descrizione dettagliata degli eventi, ricordando con precisione le tempistiche dei fotogrammi registrati dalle telecamere e rispondendo alle accuse mosse contro di lui. L’avvocato della famiglia Verzeni ha sottolineato che le sue dichiarazioni non sembravano frutto di confusione mentale.
Secondo il legale, il comportamento di Sangare dopo l’omicidio evidenzierebbe la sua capacità di intendere e di volere. Dopo aver ucciso Sharon, avrebbe attraversato i campi per evitare le telecamere, modificato bici e aspetto, e sepolto i vestiti con dei sassi. Inoltre, una traccia di DNA di Sharon è stata trovata sul trapezio della bicicletta di Sangare, l’unica parte non sostituita.
Il comportamento di Sangare nelle ore precedenti all’omicidio, come descritto nelle confessioni poi ritrattate, include minacce a due adolescenti, l’inseguimento di tre uomini a Chignolo d’Isola e un tentativo con un coltello contro una statua femminile a Terno d’Isola. Infine, avrebbe incontrato Sharon Verzeni. L’avvocato Scudieri ritiene che, nonostante l’assenza di un movente manifesto, un motivo ci sia, ovvero la volontà di uccidere una donna.